Roberta Foglino – 2011
In THE OTHER DOLL l’operazione espressiva è duplice: da un lato viene evocato il tema della donna-oggetto ridotta a “cosa”, poiché priva della nobiltà della sua anima, dall’altro l’oggetto-bambola viene caricato di una forza espressiva che riconduce alla donna, quale Persona defraudata della propria dignità umana.
Questa alternanza dualistica del rapporto essere animato (in quanto dotato di dimensione sensibile e cosciente)-cosa inanimata; e ancora, bambola umanizzata – persona-oggetto crea un paradosso nel paradosso.
L’artista assume “the doll” quale dato della reificazione della donna e la utilizza come punto di partenza della sua rappresentazione: la defrauda della sua natura (di oggetto), la priva della sua ‘anima’ per attribuirgliene un’altra, per caricarla di un drammaticità e veridicità che rimandano alla Persona: ne risulta un ribaltamento spiazzante e, in quanto tale, fortemente critico, provocatorio, caustico.
Francesca Vergari – 2010
Silenziose. Spente. Assenti quanto basta per ribaltare il senso della vita.
Sono donne offese, deturpate nell’intimo e spogliate d’ogni memoria sorgente di vita.
Donne succubi di ricordi di livida vergogna, in cui non sono protagoniste di successo né di creazione come da disegno primordiale, ma comparse d’un proscenio d’oppressione e di tormento.
Seviziate nel corpo e nella psiche, sopportano cicatrici che hanno raggiunto l’anima, rimarginate quel tanto per non accendere l’infimo pregiudizio popolare, di chi guarda, ma non osserva, di chi sa, ma preferisce tacere.
Una ricerca nata dall’idea di contrapporre lo stereotipo di donna come bambola oggetto di piacere fisico privato d’ogni propria volontà, alla primordiale matrice femminina dono della natura stessa.
Simbolo anche della spensieratezza nell’infanzia a tinte rosa, la bambola spesso incarna nell’immaginario collettivo una visione principesca del proprio futuro, sottovalutando inconsapevolmente l’altra faccia della medaglia.
Privandola di quest’aurea fiabesca, Leonardi la usa proprio per rappresentare la violenza subìta dalle donne.
La bambola stessa, da regina esce così sconfitta dall’ovattato mondo delle favole per essere proiettata in quello tangibile dove non esistono né Cenerentole né Principi Azzurri, né castelli né tesori segreti.
Defraudata dei suoi sogni, la bambola incarna l’appagamento dell’altrui volere, l’esecutrice di ordini, per soddisfare il format congenito nelle culture maschiliste.
A tal fine è usata da Leonardi per enfatizzare le conseguenze delle violenze profuse sulle donne: atti malvagi e spesso impuniti, che oscurano di un triste e irrecuperabile chador migliaia di destini nel modo, in spaccati di vita catturati nell’immobilità d’uno scatto.
Un sottile gioco di luci e ombre, a svelare realtà scomode ma attuali, verità amare e acri ma presenti, è il panorama offerto da Leonardi nella sua ricerca fotografica discreta e forte al contempo: immagini dal messaggio ruvido, senza trasparenze né passaggi intermedi, che raggiungono con immediatezza lo scopo dell’informazione e il cuore del problema.
Le sue bambole sono inermi, come soggiogate, ma stavolta dalla volontà del fotografo, senza lasciare spazio all’interpretazione, alla metafora, a uno stolto simbolismo che troppo spesso giustifica le pecche del relativismo culturale.
Così le ecchimosi, gli sfregi, i segni cianotici, le lacrime arrivano allo spettatore con la stessa enfasi della realtà, reali e crude come reali e crude sono le cause che le generano.
Ecco il salto culturale necessario perché i cattivi maestri della pubblicità e dei media non perpetuino i cliché della donna “fedele e sexi” ad oltranza o comunque sottomessa al volere di un demiurgo troppo virile.
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