Paola Zanchi – 2012
“Entrare nell’ ‘Anima delle cose’ per scoprire aspetti che vanno oltre il comune vedere affinché la mia comprensione profonda possa mettere a fuoco una composizione trasfigurata.”
E’ questo il movimento che guida lo sguardo acuto e poetico di Piero Leonardi.
Impronte, Tracce Trasfigurazioni, Trame, Stratificazioni, Spaccature si compongono e si ri‐compongono nelle sue fotografie in un gioco di combinazioni dove la materia, la “terra”, restituisce tutta la sua arcaica espressività e dove la luce, con le sue vibrazioni, scrive paesaggi evocativi.
Forse c’è qualcosa di primordiale in questo suo ritorno alla roccia, impasto cristallizzato del tempo , dove inaspettati reticoli assorbono e riflettono lo spettro della luce. E’ questo il linguaggio arcano, antico della natura? O forse c’è qualcosa di onirico che spinge l’immagina-zione oltre il confine delle forme tracciate, per vedere e trascrivere segni di un alfabeto che solo la sensibilità sa ricomporre?
Eppure c’è qualcosa di straordinariamente contemporaneo in quel graffitismo fatto di rocce, colori incrostati, caldi/freddi, freddi/freddi, pieni o “spogli”, come le sabbie più neutre; in quel trattare superfici materiche come espressioni di un linguaggio astratto e organico al tempo stesso (la spaccatura improvvisa nella roccia, l’ombra che sprofonda, la luce che vibra).
Un po’ arte povera, un po’ land art, un po’ spazialismo, un po’ Kiefer. A riprova che la fotografia di Piero Leonardi è pura rappresenta-zione, riscrittura della naturalità del linguaggio: un cercare, selezionare, combinare segni nascosti nella natura e dentro noi stessi.
Una calligrafia visiva, come lui stesso afferma, fatta di luce, molta luce.
Roberta Foglino – 2012
L’artista visualizza impronte, spaccature, stratificazioni arcaiche della pietra in un penetrante viaggio fotografico tra le cave di marmo delle Alpi Apuane nel 2006, dando vita alla collezione COLOR ON THE ROCK.
L’impasto ancestrale della roccia, scavato dal tempo e dalla natura, assorbe e riflette spettri luminosi, reticoli primordiali.
Il graffitismo emozionale è il risultato calligrafico della fotografia di Piero Leonardi: il 2006 è l’anno del fotografo della terra, del cavatore dell’immagine recondita.
La focalizzazione “dell’anima delle cose” sviluppa riflessioni materiche, perché l’artista intraprende un percorso che lo vede penetrare la roccia, intagliare visivamente il marmo, estrapolare immagini allusive attraverso un approccio percettivo, l’uso trasfigurato del dettaglio e la collaborazione del potere grafico ed incisivo della luce sulle superfici e negli interstizi rocciosi.
La narrazione fotografica intraprende un’operazione di carotaggio meta-fisico.
Sabrina Falzone – 2010
Color on the rock si chiama la serie fotografica di Piero Leonardi interamente dedicata ai suggestivi “paesaggi concettuali” rintracciabili nelle cave in marmo delle Alpi Apuane, dense di storia e cultura, e in grado di suscitare straordinari scenari estetici.
Sulla scia dei grandi maestri del passato come John Singer Sargent, Lorenzo Viani, Carlo Carrà e Pietro Annigoni, anche Piero Leonardi ha subìto il fascino delle grandi gradinate dei bacini marmiferi di Carrara al punto da suggellarne la bellezza nei suoi scatti fotografici.
Il suo studio fotografico diviene così spunto di riflessione su un’area appenninica che raccoglie duemila anni di storia umana, rievocando l’immaginario artistico tra l’Ottocento e il Novecento, nonché l’azione dell’uomo sull’ambiente per lo sfruttamento minerario.
I panorami surreali di Leonardi rivelano, tuttavia, una nuova percezione del paesaggio apuano, incline all’individuazione dei valori pittorici della pietra penetrata da simboliche pennellate di matrice geologica.
Francsca Vergari – 2008
Chi lavora il marmo e scopre la propria anima configurata nella pietra, è più nobile di chi ara la terra. E chi afferra l’arcobaleno e lo stende sulla tela in immagine umana, è più di chi fabbrica sandali per i nostri piedi.
Kahlil Gibran
Sperate sempre in ciò che aspettate, ma non aspettate mai ciò in cui sperate. Credete solo in ciò che vi convince, ma lasciatevi convincere solo da ciò in cui credete.
Paul Preuss
Dove la mano dell’uomo è intervenuta per trarre la linfa dalla rude materia, spolverate plumbee, simili a sferzate ventose di una tempesta invernale, appaiono stampate su pareti avorio nel silenzio degli orridi appenninici.
Collage di gocce ruggine e di macchie mogano sono incorniciate dalle fessurazioni delle lame diamantate delle ruspe.
Sono i colori, sempre gli stessi, tipici della qualità del marmo lunense, pantelico e pario, che si stemperano tra loro in giochi di riflessi e di eleganti passaggi tra le cave delle Alpi Apuane, e che fanno parte della ricerca Color on the rock, inserita in quella a più ampio spettro sull’anima delle cose, che Piero Leonardi sta portando avanti dal 2000.
Come in una galleria d’arte a cielo aperto, le venature marmoree si offrono agli sguardi estasiati del visitatore, similmente ad un’esposizione d’arte astratta. Dall’opalescenza delle lastre del marmo carrarese, ai toni più aggressivi ocracei, albicocca, alternati a blu cianotici e rosa lacca di garanza, l’animo aperto alla bellezza può nutrirsi di siffatto spettacolo cangiante.
Nel particolare, il fine è quello di concatenare l’apparente contrasto ideologico tra la deturpazione di una natura incontaminata e la capacità del fotografo di estrarne la bellezza interiore.
“Ho scoperto che le montagne erano state sfigurate solo in apparenza: in realtà la mano dell’uomo ha rivelato una loro interiorità originale e intatta”.
Montagne dotate di una personalità, dunque, che avvalorano il valore dell’essere, rispetto all’apparire.
Ma se è vero che lo spettacolo delle cave di marmo delle Alpi Apuane è accessibile a tutti, l’originalità dello studio di Piero Leonardi si può avvisare nella capacità di leggerne dettagli non necessariamente tridimensionali: opere d’arte già contenute nel cuore delle montagne, non create da mano d’uomo, opere d’arte estemporanee perché durevoli fino al successivo taglio della lama diamantata.
“Osservarle e fotografarle: un processo che non si può esaurire con una mostra. E’ una ricerca aperta, infinita. Le cave esistono da duemila anni e continuano ad essere una fonte inesauribile di immagini e di studio”.
Non un reportage, quindi, ma una ricerca, alimentata di volta in volta dalla cava stessa, che accoglie il suo fotografo per farsi immortalare in un’inquadratura sempre nuova: istantanee scattate nel rispetto della natura delle cose, in una sorta di rapporto paritario, mantenendo la dignità interiore della montagna e avvalorandone la personalità celata.
Come in un rimbalzo continuo tra macro e micro-mondo, l’insieme delle linee impresse dalla pellicola conferma la propensione innata di Leonardi alla cultura dell’immagine e alla capacità di osservazione.
Ne derivano opere d’arte bidimensionali, che appaiono da lontano similmente a pitture astratte, pur contenute in giganti sculture naturali di roccia.
Lastroni di roccia, che nell’immaginario collettivo sono metafora di freddo distacco, di cinica asprezza, d’indole asettica, si trasformano così d’incanto, in esplosioni di brividi granitici, in schizzi vertiginosi di percolazioni monocolore, in vivide screziature dalle nuances incisive.
Uno spettacolo della natura gratuito e rinnovabile: alla voracità della benna delle ruspe, corrispondono, infatti, il mutare delle pareti appenniniche delle cave marmoree.
Scatti che hanno, dunque, rubato per noi scenari mai più ripetibili, spettacoli di variegate tinte e giochi di cromie, cicatrici di millenni di storia del pianeta, memoria di ere trascorse, di stravolgimenti ormai placati.
Le stesse crepe, ferite dolorose inferte dalla natura, diventano protagoniste di polittici naturali, dove l’abile pennellata di un pittore anonimo ha definito tratti unici come lo è una fede religiosa.
“Passando spesso di ritorno da Genova davanti alle Alpi Apuane, rimanevo stupito di quel biancore anche in estate. Credevo fosse neve. Poi mi sono reso conto che erano le pareti delle cave di marmo: il loro biancore riluceva da lontano apparendo come ghiaccio allo spettatore inconsapevole”.
L’istinto ha stimolato l’attrazione, convertendola in fiducioso coinvolgimento. Il passo è stato breve per l’avvio della presente ricerca, in cui lo spettatore è lasciato libero di immaginare le screziature lattiginose che trafiggono le pareti olivacee e brunite come saette iraconde; le spatolate di nero-china su lastre medraperlacee come sinuose piegature di preziose stoffe.
E i graffi ambrati, come artigliate di misteriose creature che intagliano muraglie albuginee, interrompendosi su terrazze artificiali, appaiono simili a strappi giallo zafferano in un’alternanza ritmica con spacchi rosso sangue e nero seppia.
Costante rimane l’essenziale messaggio del fotografo, che incide come una lastra fotografica la sua immaginazione, ad anelare ad una continua tensione verso l’impercettibile superamento dei propri limiti.
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